Pasta alla trapanese senza glutine.
Ovvero come nobilitare con un sugo della grande tradizione siciliana, e quindi italiana, la pasta senza glutine.
Sulla traduzione ci sono sempre tantissime polemiche. Una che ricorre tutti gli anni, puntuale come le zanzare d’estate, è quella relativa ai grandi dolci natalizi: il pandoro senza glutine è pandoro? Il panettone no dovrebbe chiamarsi dolce natalizio lievitato senza glutine?
Ma mi chiedo: come si dovrebbe chiamare, di grazia, una cosa molto simile a un pandoro o a un panettone?
Per semplificare direi che si dovrebbe dire semplicemente pandoro senza glutine, e in quel senza è contenuta tutta la differenza. Poi se effettivamente siano buoni come quelli glutinosi o siano una pallida imitazione è un altro problema. La questione è che per identificare questi prodotti bisogna usare la stessa terminologia dei glutinosi, per lo meno per affinità e per rendere identificabile e riconoscibile il prodotto.
Invece strali e fulmini contro l’uso della denominazione in nome di un disciplanre che sembra quasi risalire al medio evo. Invece pandoro e panettone sono figli dell’industria alimentare degli anni ’50, del consumo di massa e sono entrati nelle nostre case spazzando via “Gesù bambino” per dare posto a un Babbo Natale color Coca Cola, la lattina ovviamente.
La tradizione non si tocca. Anche se la cosidetta tradizione spesso è semplicemente il consolidamento di piatti, ingredienti che sono in uso massivo da poco più di 50 anni, dal dopo guerra.
Prima l’economia rurale di sustinenza era fatta da pochi e semplici ingredienti, sempre gli stessi, in epoche con pochi scambi e in cui l’assimilazione di ingredienti esogeni era un processo lento e graduale.
Basti pensare alla patata e ai secoli che ci sono voluti per farla accettare, alla melanzana, ostaggiata come mela inzana, invista perché era anche nera come un sintomo di morte.
Adesso abbiamo la polemica dei tortellini al pollo per chi non mangia maiale. Il fatto è che in tempi duri e rurali il pollo era una grande risorsa e il ripieno, compreso di frattaglie e creste, era “tradizionale”
Se volete approfondire c’è un bellissimo articolo sulla questione “ripieno di pollo” del Gambero Rosso che dimostra come il ripieno di pollo sia antesignano di quello di maiale.
In realtà noi italiani siamo ipersucettibili su questa presunta tradizione, ma facciamo disastri delle denominazioni altrui: oggi verdura frullata è un hummus, ogni torta rovesciata è una tatin, ogni cake è un plum cake. E se imparassimo con umiltà a conoscere anche le corrette denominazioni dei piatti che non sono della nostra cosidetta tradizione?
Ma adesso torniamo a una delle ricette più buone, semplici e geniali che abbia mai assagiato: la pasta alla trapanese. Già la definizione è un manifesto la pasta trapanese è della zona di Trapani e ci indica già che la Sicilia è un continente grastonomico, la regione dove in ogni territorio si trovano strati e strati di cultura, popoli e conseguentemente ricette.
La meraviglia delle contaminazioni culturali dentro i piatti.
La ricetta
- 500 g di pomodori maturi
- 320 g di spaghetti senza glutine Schär
- 100 g di pecorino
- 50 g di mandorle pelate
- una mangiata di basilico lavata
- 1 spicchio d'aglio sbucciato
- Olio
- Sale
- In un mixer unite le foglie di basilico, l'aglio, e le mandorle, tritatre tutto sottile unendo 4-5 cucchiai d'olio.
- Trasferite tutto in una ciotola capiente e unite il pecorino e mescolate.
- Immergete in acqua bollente i pomodori per un paio di minuti, sbucciateli, eliminati i semi e l'acqua di vegetazione e tagliateli a dadini. piccoli.
- Unite i pomodoti al pesto con il basilico e mescolate bene, unite un altro paio di cucchiai d'olio per amalgamare tutto.
- L'ideale sarebbe far riposare il pesto per qualche ora.
- Cuocere al dente gli spaghetti e condirli con il pesto e servite subito
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